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Immagine del redattore Dr Maria Teresa Caputo

Che cos'è un disturbo d'ansia

La nostra cultura di appartenenza sembra non prendere sul serio la salute mentale. Di fronte alla sofferenza mentale alcuni ti diranno di ricomporti, di fartene una ragione, di smetterla di pensarci che non hai alcun problema, è nella tua testa. Il fatto è che i disturbi di ansia non sono meno seri del diabete. I sintomi che generalmente vengono denunciati dai pazienti che soffrono di disturbi d'ansia, sono la presenza costante ed eccessiva di preoccupazione, difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, tensione muscolare e scarsa capacità a mantenere la concentrazione. Nel nostro paese ci sono differenti motivazioni che spingono le persone a non richiedere un aiuto specializzato : il mancato riconoscimento o la svalutazione delle loro difficoltà, l'eccessivo costo delle cure specializzate, la paura che andare dallo psicologo abbia delle ripercussioni sull'immagine lavorativa e sociale e che non risolva il loro problema. Ma la verità è che un disturbo d'ansia non è un fallimento personale di ordine morale ma un problema di salute serio al pari del diabete. Cominciamo prima di tutto con il dire di che cosa parliamo quando facciamo riferimento all'ansia. L'ansia è un'emozione che normalmente viviamo in una situazione di stress. Si tratta di un vissuto collegato alla paura ma mentre la paura è una reazione ad una minaccia immediata che si attenua rapidamente, l'ansia è la reazione a minacce incerte ed ha una durata più lunga. E' un'emozione regolata dal sistema di rilevazione della minaccia, che ci accomuna al mondo animale e ha lo scopo di proteggerci dai pericoli. L'ansia ha luogo in una parte del cervello a forma di mandorla, denominata amigdala. Dopo aver rilevato una minaccia, l'amigdala invierà il segnale ad altre parti del cervello per attivare una reazione difensiva. Successivamente, l'ipotalamo rilascia un segnale innescando quella che definiamo la reazione di risposta allo stress da parte del nostro corpo : tensione muscolare, aumento del respiro, accelerazione del battito cardiaco, incremento della pressione sanguigna. Vengono "accese" aree del tronco encefalico, producendo uno stato di ipervigilanza. Stiamo parlando della reazione attacco-fuga. Questo genere di risposta può essere tenuta sotto controllo tramite un'area deputata al ragionamento, ossia la corteccia prefrontale ventromediale. Come funziona ? Se vediamo qualcosa che reputiamo pericoloso, come ad esempio una tigre, viene inviato immediatamente un segnale all'amigdala che dice "E' il momento di scappare". La corteccia prefrontale ventromediale può tuttavia "ristrutturare" il significato dello stimolo e dire all'amigdala "Uh, guarda c'è una tigre ma sta tranquilla nella sua gabbia, quindi puoi tranquillizzarti". Si tratta di un feedback che consente di gestire la reazione di attacco-fuga. Anche l'ippocampo è coinvolto fornendo indizi di contesto, dicendo cose come "Abbiamo già visto in passato tigri in gabbia, siamo allo zoo, siamo al sicuro!" Quando siamo in ansia, questi meccanismi che riducono e/o inibiscono le reazioni alle minacce non funzionano correttamente. Questo determina un incremento della preoccupazione verso il futuro, facendoci sentire non al sicuro. Per molte persone questo processo va in sovraccarico fino a generare uno stato pervasivo di ansia tale da compromettere il normale funzionamento in ambito accademico, lavorativo, relazionale. Lo stato pervasivo di ansia conduce infatti il soggetto che ne soffre all'evitamento di quelle situazioni che potrebbero attivare i sintomi. Secondo L' Organizzazione Mondiale della Sanità, il sedici per cento della popolazione mondiale soffre o ha sofferto in passato di un disturbo d'ansia. Fanno parte dei disturbi d'ansia: il disturbo di ansia sociale, l'agorafobia, il disturbo da panico, il disturbo d'ansia generalizzata, le fobie. Dagli studi è emerso che le persone con disturbo d'ansia possono non avere soltanto reazioni diverse allo stress, ma a differire sarebbe il modo in cui funziona il loro cervello. Secondo un modello teorico, nei soggetti con disturbi d'ansia potrebbero esserci delle confusioni nelle connessioni tra l'amigdala e altre parti del corpo. In questo modo le vie deputate all'attivazione dell'ansia diventano più forti. Maggiore è l'ansia che viviamo, maggiore diventerà la forza di queste vie tale da creare un circolo vizioso. Tuttavia, è possibile trattare i disturbi d'ansia. Il lavoro terapeutico è finalizzato alla creazione di nuovi pattern. Secondo i ricercatori, il nostro cervello ha la capacità di riorganizzarsi dando luogo a nuove connessioni. Partiamo dalle cose basilari: fare attività fisica, fare una dieta sana, sonno regolare. La mente è parte del nostro corpo, fare la mindfulness potrebbe essere un utile strumento per rallentare l'iperattivazione dell'arousal (incremento della tensione muscolare, accelerazione del battito cardiaco, aumento del respiro) prodotta dalla reazione attacco-fuga. Attraverso la terapia cognitivo-comportamentale, un tipo di psicoterapia, siamo inoltre in grado di identificare i pensieri non realistici che ci attanagliano. Il percorso di terapia ci permetterà di costruire nuovi pattern della mente in grado di attenuare la risposta allo stress. I farmaci possono generare sollievo sia a breve che a lungo termine. A breve termine, i farmaci sono in grado di regolare i meccanismi che attivano la risposta difensiva alla minaccia andati in iperattivazione. Sia il trattamento farmacologico che la psicoterapia cognitivo-comportamentale sono in grado di rallentare l'eccessiva reattività dell'amigdala nei soggetti affetti da un disturbo d'ansia.



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